L'Olivo e l'industria olearia

Il Paese di
Sinopoli


Una piccola parte
degli oliveti che
circondano Sinopoli

Ritengo sia impossibile fare il conto delle persone che in varie epoche abbiano trattato questo argomento, abbiano descritto questa pianta ed il suo prodotto principale, l'olio, fin dai primordi della civiltà.ma quasi a completamento di una silloge di usi, costumi e attività tradizionali della mia terra di origine, ho ritenuto che fosse quasi indispensabile trattare di questo argomento che ha rappresentato, nei secoli trascorsi, e ancora oggi rappresenta la maggiore attività e la maggiore fonte di guadagno di quella comunità; al punto che negli ultimi decenni quasi tutto il territorio comunale al disotto dei 600 metri di altitudine è stato coperto di olivi, avendo questa coltura espulso le varie coltivazioni già in altri tempi fiorenti (orti, frutteti, gelseti, vigne e financo castagneti).
Ho motivo di credere che probabilmente la coltivazione dell'olio nel territorio di questo comune abbia avuto inizio fin dai tempi della colonizazione dei greci: al punto che, essendo stato Sinopoli; fondato da coloni greci, tanto che fino a qualche secolo fa quello che oggi è chiamato Sinopoli Vecchio veniva idicato come Sinopoli Greco; non essendo però noto da quale regione della Grecia provenissero detti coloni ho sempre pensato che se avessi avuto l'opportunità di girare in lungo ed in largo il territorio di tale stato, dalla scoperta del tipo di olivo esistente in qualche località dello stesso, avrei potuto risalire alla schiatta che circa 2500 anni fa fondò Sinopoli e vi introdusse la coltivazione di detta pianta. Se la mia può apparire al lettore una tesi cervellotica e priva di alcun riscontro, prego di porre mente che l'olivo che si coltiva a Sinopoli e di una specie con caratteristiche particolari e forse uniche. La sua area comprende il territorio di alcuni comuni collinari che fanno corona alla Piana di Gioia Tauro, ed è sintomatico che le olive qui prodotte vengano indicate con il termine " Coccitana sinopolese" tanto che la denominazione stessa ha acquistato carattere scientifico essendo divenuta indicazione obbligatoria nella richiesta del premio di integrazione che assiste la produzione olivicola.
I cittadini di Sinopoli non solo sono stati da sempre ottimi olivicoltori, ma anche grandi produttori di olio e ciò e attestato dalla presenza di tanti oleifici operanti nel territorio comunale, certamante esuberanti rispetto all'area olivetata. Con un lavoro protrattosi per secoli, hanno trasformato in oliveti non solo boschi e terreni sterili e marginali, ma dirupie scoscendimenti dove la raccolta dei frutti è sempre un operazione difficile e rischiosa. In altri tempi esisteva nel comune una categoria di operatori economici detti volgarmente " ngiustrijanti " (industrianti), cioè persone che esercitavano l'industria olearia pur non possedendo oliveti. Costoro durante la stagione olearia si procuravano le olive prendendole in affitto, in gabella, acquistandole dai commercianti per conto terzi. Era abituale che si accaparrassero buona parte della produzione olivicola nei territori contermini di S. Eufemia, S. Procopio e Cosoleto. Negli anni successivi all'ultimo conflitto, quando non c'era produzione, si recavano ad acquistare le olive anche in provincia di Catanzaro, fino alla piana lametina. a causa di questa loro frenetica attività, con un paradosso, si diceva che i Sinopolesi le olive, quando non c'erano, le inventavano.

olive "coccitane"
chiamate anche
"coccitana sinopolese"

Nella località detta " Bumbardara ", alla periferia nord di Sinopoli, esistono degli olivi forse millenari, tanto che la base del loro tronco è scissa in varie parti (4,5 o 6)ed ha circonferenza anche di dieci metri. Ed ecco come parla di questo olivi lo scrittore Pietro Rebuschini nel suo scritto: " Calabria ": " La strada carrozabile che da Palmi conduce a S. Eufemia d'Aspromonte " attraversa una regione che sembra una terra promessa. Foreste secolari di olivi si stendono dall'uno all'altro lato, fin dove arriva lo sguardo ed oltre, ma non di quegli olivi esili e contorti che siamo abituati a vadere sulle sponde del nostro lago (Como).Quelle della Calabria sono piante colossali come i castagni delle nostre selve, i cui tronchi, poderosi si estollono ad altezze inverosimili e le cui ramificazioni ampie e robuste si intrecciano in alto come una volta attraverso cui scarsamente passano i raggi del sole.
Le drupe prodotte da queste piante sono di media grandezza, la produzione di norma è biennale e nelle annate di produzione, se i frutti non sono stati attaccati da insetti e parassiti, la raccolta si protrae nel tempo, anche per otto mesi - da novembre a luglio - e la resa dell'olio raggiunge talvolta un quarto del peso delle olive. la qualità dell'olio che una volta era scadente perchè le olive venivano ammassate in particolari scomparti (zzimbuni) e lasciate fermentare, oggi può essere ritenuta eccellente. La raccolta delle olive, che in altri tempi si praticava col sistema della raccattatura per terra, oggi è stata quasi dapertutto migliorata con l'impiego di reti di plastica che all'inizio della stagione olearia vengono stese sotto le piante e recuperate a stagione ultimata. L'impiego della manodopera è stato notevolmente ridotto e la qualità del raccolto migliorata perchè i frutti non vengono più a contatto con la terra.
Data la durata secolare degli alberi e la loro estensione non occorrono molte nuove piante e, per l'integrazione di quelle che vengono a mancare per cause diverse, gli olivicoltori allevano nei loro poderi le ceppatelle dette " stoppatizzi " che, staccate dalla ceppaia e trapiantate, attecchiscono facilmente. Qualcuno addirittura, in occasione della potatura, sotterra piccoli segmenti di rami che si trasformano entro qualche anno in tante nuove piante e costituiscono un vivaio da cui attingere per i bisogni della nuova azienda. Anche gli olivi sradicati dalle intemperie, liberati dai rami e ridotti al solo tronco, detto " muzzuni ", vengono ripiantati e, nello spazio di qualche anno, emettono rigogliosi polloni che ricostituiscono una pianta ringiovanita. La riproduzione col seme, almeno da noi non è praticata in quanto la nuva pianta selvatica, da pochi frutti e minuti per cui dovrebbe essere sottoposta ad innesto. Nella nostra provincia in genere gli olivi non vengono irrigati.
La potatura, più propriamente detta " rimunda ", in genere e limitata al taglio dei rami secchi e di quelli superflui.
Da alcuni anni per la concimazione degli olivi si fa esclusivamente uso di fertilizzanti chimici, mentre nei tempi andati ci si serviva dello stabio.
Ora voglio riportare alcune consuetudini locali e tipici piatti agrari relativi all'oliveto. All'inizio e alla fine della stagione olearia la raccolta delle olive è consentita a chiunque; il proprietario per indicare la "chjusura " del proprio fondo vi pianta delle canne ancora munite di foglie. Il proprietario degli olivi ha il diritto di raccattare i frutti che cascano nel fondo altrui non olivetato; se due oliveti sono contermini viene tracciato sul terreno un equo limite mediano detto " menzeri ", da cui deriva l'espressione " simu a menzeri spartutu! " ( il limite è stato tracciato per cui non abbiamo nulla in comune! ). Le olive che cascano nelle vie pubbliche possono essere raccattate dal proprietario delle piante che vi protendono, ma limitatamente alle prime ore del mattino, dopo di che diventano res nullis.
In generale l'oliveto è condotto dal proprietario; il fitto è poco praticato. E' tutt'ora largamente praticata la gabella (cabeja).
Fino a quando non si è fatto ricorso all'uso delle reti di plastica, la raccolta delle olive veniva fatta a mano ed era compito quasi escusivo delle donne (cogghjliva); il loro lavoro era veramente usurante, durava dall'alba al tramonto e, come se non bastasse, la sera le raccoglitrici erano tenute a trasportare sul capo, al frantoio o alla casa del proprietario, un sacco di olive, e questo talvolta per alcuni chilometri. Alla fine della stagione olearia le raccoglitrici avevano le unghie delle mani in buona parte consumate e, in conseguenza i polpastrelli sangunanti. Spesso queste lavoratrici provenivano da paesi lontani ed erano ospitati in casolari privi di ogni conforto. Talvolta la paga era commisurata alla quantità delle olive raccolte e allora nella raccattatura viniva impiegata tutta la famiglia, bambini compresi. Era una specie di cottimo e veniva detto a " misura ", e per misura si intende un quarto di tomolo ciè venti litri. Altro rapporto di durata stagionale, ora non più praticato, era quello detto a " spartiri " ( a divisione).
Le olive raccattate venivano divise tra il concedente e le raccoglitrici nella proporzione di cinque parti a due e da ciò l'espressine " cincu a li ddui ". A fine stagione queste lavorarici, come pure alle giornaliere, dette " jornatari ", veniva corrisposto un premio in natura: da dieci a venti litri di olio a seconda l'andamento stagionale e del buon cuore del proprietario. Oggi le braccianti, anche se non sono più costrette a compiere chilometri e chilometri a piedi per raggiungere il luogo di lavoro e per rientrare la sera a casa e non debono stare con la schiena curva dall'alba al tramonto ricevono un magra paga.

Le reti di plastica
che vengono stese sotto le piante,
esse facilitano molto
la raccolta delle olive
e migliorano la qualità dell'olio
poichè le olive non vengono
a contatto con la terra

Raccoglitrice di olive
o "cogghjliva".
La raccolta delle olive in
passato era compito quasi esclusivo
delle donne.
La raccolta avveniva a mano,
il lavoro era massacrante e durava
dall'alba al tramonto

Negli oliveti di pianura le olive venivano scopate e vagliate per liberarle dai corpi estranei. I vari tentativi di fabbricazione di macchine per la raccolta meccanica delle olive finora hanno avuto scarso successo; il sistema dello scuotimento delle piante o i tentativi di accellerare la maturazione dei frutti e quindi di accorciare la durata della stagione olearia mercé l'impiego di sostanze chimiche, nei terreni collinari e con la varietà " coccitana ", non hanno avuto successo.
In altri tempi i furti di olive erano numerosissimi e anticamente avvenivano di notte e sulle piante: il ladro si arrampicava sull'albero e, facendo uso di un pezzo di pettine da telaio, " pettinava " le olive miste a foglie in un sacchetto legato alla cintola.
Per quanto riguarda i vari modi di estrazione dell'olio è risaputo che i popoli primitivi si servivano dell'acqua bollente per favorire la separazione delle sostanze oleose contenute in numerosi semi e nelle drupe preventivamente schiacciati con vari sistemi. Gli Etruschi facevano uso della pressa a cuneo e i Russi della presa a organo. I Romani crearono il famoso trappeto dove le olive venivano schiacciate nel frantoio munito di macine fatte rotare da un equino o bovino. Le olive, frante e ridotte in pasta, venivano introdotte in sporte circolari dette fiscoli che incolonnate venivano torchiate. Il torchio nel nostro dialetto detto " fusu ", veniva avvitato nella madrevite fissa per mezzo di una manovella azionata da uno o due manovali. Successivamente fu impiegato anche un argano per aumentare la pressione ed ottenere così una maggiore quntità di olio. Il trappeto si perpetuo per almeno due millenni senza che vi si apportassero notevoli modifiche, ed in epoca a noi vicina continuò a coesistere con la macchina olearia a presse detta " alla genovese " e con il frantoio azionato dalla forza idraulica, introdotta in Calabria, alla fine del '700, a partire da Seminara, dai fratelli Grimaldi, agricoltori di origine ligure. La macchina olearia, come detto, sfruttava l'acqua per la frangitura delle olive per mezzo di un enorme ruota idraulica a cassette detta " ruota persiana " e per la separazione, una serie di vasche a sifone, delle sanse dai nòccioli; la sansa, per il suo minore peso specifico, affiorava sul pelo dell'acqua mentre i nòccioli, più pesanti, si depositavano nel fondo. Le sanse raccolte venivano di nuovo torchiate e davano un olio di qualità scadente detto per l'appunto "olio di sansa o lampante", normalmente usato per la saponificazione.
A partire dagli anni '50 non solo scomparvero gli ultimi trappeti, ma anche le macchine idrauliche che numerose sorgevano lungo i corsi dei nostri torrenti e furono sostituiti dai frantoi ad energia elettrica, ubicati quasi sempre nei centri abitati;
I trappeti furono usati per almeno due milleni, le macchine idrauliche per circa due secoli, i frantoi elettrici per poco più di mezzo secolo e stanno ormai per scomparire, sostituiti da moderni oleifici automatizzati e a ciclo continuo.

Vecchio frantoio
funzionante ad energia
elettrica

Disegno di un vecchio trappeto
la cui ruota veniva fatta girare,
da equini o bovini,
per schiacciare le olive

Nei trappeti e nei frantoi, idraulici o elettrici, il liquido della torchiatura (olio frammisto a morchia) si faceva colare in un tino o vasca dove l'olio si separava dalle morchie e affiorava; a decantazione avvenuta veniva raccolto con un arnese simile a un grosso cucchiaio detto volgarmente " pija ".
Nonostante il progresso, qualche frantoio " all'antica " è tuttora in funzione e ci sono dei contadini, particolarmente attaccati alle tradizioni, che lo preferiscono per la molitura delle proprie olive, anche perchè la molitura delle olive in queso tipo di frantoio rappresentava un momento di aggregazione molto importante nella vita di ogni contadino.

Estratto da "A DERA" di Giuseppe Misitano